Per questo argomento, dovremo scrivere più post, ognuno con un piccolo “trucco” da utilizzare per far svanire questa nostra paura, e quindi, cominciamo subito!!
Parlare in pubblico: da dove arriva questa paura?
Proviamo ad immaginare di essere in su un grande palco, davanti a noi un enorme pubblico e dei fari di scena che puntano verso di noi. Molta gente li presente si aspetta qualcosa da noi, la maggior parte si aspetta molto da noi. Sono in attesa di informazioni, sono in attesa di un nostro cenno e, noi, facciamo scena muta oppure dalla nostra bocca esce con un filo di voce un suono impercettibile. Oppure, peggio ancora, la nostra voce esce in maniera saltellante a causa del respiro affannato per l’emozione.
A qualcuno sarà sicuramente successa una cosa del genere, a qualcun altro magari no ma comunque, anch’essi, saranno in grado di immaginarsi l’enorme livello di stress che questo può generare.
E’ facile dire che “basta non essere agitati e/o nervosi perché tutto vada bene.
Spesso però non siamo in grado di gestire al meglio queste emozioni e di indirizzarle secondo i canoni corretti.
Ci sono però alcuni “trucchi” che possiamo utilizzare per migliorare questa situazione e veniamo ad analizzare il primo di questi:
- Prepararsi al meglio sull’argomento
Proprio come ci succedeva a scuola: se non si studia, non si può pretendere di avere un ottimo voto. È una questione di abitudine, questo è sicuro. Prima cominciamo questa abitudine positiva, meglio è!
Proviamo ad immaginare di tornare indietro nel tempo e di ritornare studenti. Immaginiamo noi stessi e di essere seduti al nostro banco nella nostra classe: il professore o la professoressa scorre il dito sul registro cercando “la preda da sacrificare” e noi siamo con lo sguardo rivolto al banco, le spalle strette, cercando di nasconderci il più possibile dietro il compagno del banco davanti a noi. Con i nostri occhi siamo in grado di osservare “quel dito” ed il nostro battito cardiaco aumenta in maniera direttamente proporzionale a quanto il dito si avvicina alla zona alta centrale o bassa a seconda di come inizia il nostro cognome. Altri nostri compagni sono nella nostra condizione ma la classe, si sa, è come il Colosseo al tempo dell’impero Romano e noi siamo dei gladiatori: Mors tua, Vita mea. Non sentiamo volare una mosca, sembra addirittura che la giornata si sia rabbuiata, ed infine succede: il prof chiama proprio il nostro cognome e con uno sguardo sogghignante e perfido ci “invita” alla lavagna. I dieci passi che separano il nostro banco dalla lavagna sono i più lunghi al mondo, complice anche il fatto che le nostre gamba sono state private della circolazione ed i nostri piedi sono diventati di pietra. Arrivati sul “patibolo”, alla prima domanda la salivazione si azzera (Fantozzi docet) ed il cervello sembra rimpicciolirsi così come l’aula entra in una fase contrazione rimpicciolendosi sempre più. Un simile scenario ne sono quasi sicuro, è successo a chiunque di noi, almeno una volta nella vita. Il feeling non è sicuramente positivo, e spesso è leggermente traumatico. Proviamo invece a pensare a noi stessi in una situazione simile (leggi: interrogazione a scuola) ma dove il prof o la prof cerca la preda su un argomento che noi conosciamo perfettamente: ecco che, immaginando di essere seduti su quel “fantastico” neon sul soffitto, noi siamo in gradi di vederci seduti al nostro banco. Seduti è un termine non molto corretto perché siamo quasi letteralmente seduti su delle puntine da disegno, facciamo di tutto per farci notare dal prof e siamo irritati dal fatto che lui abbia gli occhi fissi sul registro e non sia in grado di guardare proprio verso di noi. Dalle finestre splende una luce che sembra sia nata una stella direttamente nel cortile della scuola, ci osserviamo e siamo sorridenti e confidenti. Appena la prof chiama il nostro cognome, avvertiamo uno sparo tipo “iniziodeicentometripiani” e noi scattiamo in piedi e ci dirigiamo alla lavagna che neanche Usain Bolt. La prof ci sorride perché sa che siamo preparati sull’argomento ed in fondo il suo sentimento è quello che ha ogni prof: essere felice nel vedere che i suoi allievi hanno capito gli argomenti spiegati.
Qual è la differenza tra i due esempi?
Esatto! La preparazione! Nel primo caso, per una qualunque delle “importantissime ragioni” della nostra vita tipo stanchezza, indifferenza, svogliatezza, la partita a calcetto del pomeriggio precedente, litigio con fidanzatina o fidanzatino del momento, scazzo, il battito di ali di una farfalla in Giappone, un terremoto che 14 anni prima aveva colpito un qualunque angolo del pianeta…. Insomma, una qualunque di queste cose o tutte insieme (!!!) ci avevano impedito di studiare e di prepararci per l’interrogazione che poi, per pura sfiga tra le sfighe, era “a sorpresa”.
Nel secondo caso, noi eravamo preparati e ci sentivamo confidenti sull’esito dell’interrogazione, nulla e nessuno ci avrebbe fatto prendere un brutto voto e questo non era per la “confidenza” che avevamo in noi, era per la preparazione che avevamo sull’argomento.
Quindi, non è segno del destino, volere Divino o sfiga ciò che ci porta ad un pessimo risultato o ad uno buono, è solo la preparazione.
Va da se che ognuno di noi può raggiungere un livello migliore o peggiore di un’altra persona su un determinato argomento perché questo è un fattore soggettivo e quindi legato a tutte le nostre esperienze pregresse; magari con il nostro massimo impegno in questa ipotetica interrogazione riusciamo ad ottenere solo un misero “6” rispetto ad un nostro compagno di classe che magari in maniera facile facile si becca un “8”, ma, ribadiamolo ancora una volta, il nostro “6” striminzito è frutto di un processo migliorativo, proprio perché abbiamo applicato con profitto una “tecnica”, un trucco per migliorarci.
Il nostro “6 è meritato” perché ci siamo applicati, ci siamo sforzati per apprendere dei nuovi concetti, o fortificarne altri che già conoscevamo. Ed è solo l’inizio per salire sino all’ 8 del nostro compagno e poi salire ancora più su, perché, se ci impegniamo, qualunque risultato può essere alla nostra portata.
Cosa ne dite? Siete d’accordo con il nostro punto di vista?
In ogni caso, scriveteci e commentate questo post, servirà sicuramente a noi ed anche a voi perché, le statistiche parlano chiaro: se mettiamo su carta (o su un qualunque altro mezzo elettronico) un nostro pensiero o una nostra idea, questo atto ce la fa diventare più nostra, ne diveniamo più consapevoli. Forza Allora! Commentate!!!
La prossima settimana, il nuovo trucco che vi spiegheremo per migliorare la capacità di parlare in pubblico sarà…
Beh, lo vedrete la prossima-mente (ma un accenno è proprio nelle ultime righe di questo post), Buona Ricerca!!!!